Una eccezionale aurora boreale ieri sera, domenica 5 novembre 2023 verso le 21, ha interessato le nostre latitudini. Evento poco frequente a latitudini molto a sud come la nostra, ma possibile soprattutto quando l’attività solare è alta. Il fenomeno è già avvenuto in passato ed è noto anche nei secoli scorsi, essendo stato descritto in antiche cronache locali risalenti al ‘700.
Le aurore polari dipendono del vento solare e dalla sua intensità, che all’origine parte con una velocità variabile tra i 200/900 km/s ed una temperatura attorno ad 1 milione di gradi. Il vento solare è un flusso continuo costituito principalmente da particelle energetiche quali elettroni, ioni e protoni irradiati dalla nostra stella. Quando questo flusso incontra il campo magnetico terrestre, viene convogliato dalle linee di forza verso i due poli magnetici, trasformando la Terra in un dipolo (un grosso magnete).
Normalmente le aurore compaiono abbastanza frequentemente a latitudini elevate, oltre il 65° parallelo, ma quando l’intensità del vento solare cresce per effetto di fenomeni come Brillamenti o Emissioni di Massa Coronale (CME), il flusso di elettroni e ioni aumenta e causa la formazione delle aurore anche a latitudini come la nostra. Queste aurore sono spesso accompagnate da potenti tempeste geomagnetica in grado di generare interferenze nelle trasmissioni radio e blackout nella rete elettrica.
CME e brillamenti o flare, meglio conosciuti come tempeste magnetiche solari, sono eventi che seguono i cicli di attività solare, la quale alterna periodi di minimi a periodi di massimi con una frequenza che oscilla attorno agli undici anni; sono quindi eventi molto rari durante il minimo solare e frequenti quando si manifestano a cavallo del massimo solare. È facile intuire che quando la nostra stella si trova a cavallo del massimo, potrà più facilmente indurre la nostra magnetosfera a generare spettacolari aurore polari a volte visibili anche dell’Italia. In genere il flusso impiega tra le 18 ore e i 5 giorni per arrivare dal Sole alla Terra; questo dipende dalla velocità e dell’intensità del vento solare, dalla posizione sulla superficie solare “fotosfera” e dal percorso che seguirà in quanto non si propaga in linea retta ma con un moto a spirale perché influenzato dal campo magnetico interplanetario in cui il Sole è immerso. Una volta catturati elettroni e ioni, vengono convogliati dalla magnetosfera terrestre verso i poli, penetrando in atmosfera all’altezza della Termosfera, ad una quota che oscilla tra i 100/600 km. A questo punto le particelle collidono con il gas dell’atmosfera terrestre, lo riscaldano e lo ionizzano, dando luogo all’emissione di radiazioni, dove i vari colori visibili sono dovuti ai diversi elementi dell’atmosfera eccitati dall’impatto con le particelle provenienti dal Sole.
Dal momento che si originano i flare o le CME, si manifestano come aurore sulla Terra dopo minimo 15 ore e per i 2 o 3 giorni successivi, quindi è consigliabile tenere d’occhio la volta celeste per alcuni giorni dopo la prima manifestazione. Si presti attenzione anche al massimo di questo ciclo n° 25, ormai prossimo visto che avverrà tra l’anno 2025 e 2026 e quindi tra il 2024 ed il 2028 potrebbero verificarsi anche altre aurore.
Una curiosità: possiamo ringraziare Galileo Galilei e Pierre Gassendi per il nome “aurora boreale” dato da loro alle luci rosate, probabilmente osservate in un momento di particolare attività solare.
Marco Barella
Credit foto: INAF Padova dall’Osservatorio di Asiago; Marco Barella Sole in Ha e visuale del 4 novembre