Quanto è grande l’universo? Questa semplice domanda continua ad assillare gli astronomi da sempre; un secolo fa si riteneva che l’universo consistesse nella sola Via Lattea, la nostra galassia. un disco del diametro di 90000 anni luce composto da centinaia di miliardi di stelle (le stime recenti indicano tra 100 e 400 miliardi). È certamente una struttura immensa: la luce, viaggiando a 300000 Km/s, impiega 90000 anni per andare da un capo all’altro della Via Lattea (un anno-luce corrisponde a circa 9000 miliardi di Km). Fino ad un secolo fa, quindi, si riteneva che la Via Lattea fosse tutto quello che c’è nell’universo.
Le cose sono cambiate nell’ottobre del 1923, quando l’astronomo Edwin Hubble ha analizzato una lastra fotografica di quella che all’epoca veniva chiamata “nebulosa di Andromeda”, e vi ha individuato una stella particolare che ha etichettato scrivendo “VAR!” sulla lastra. Questa piccola stella ha cambiato di colpo e per sempre la nostra concezione dell’universo.
La stella individuata da Hubble è una stella variabile Cefeide. Queste stelle hanno la caratteristica di “pulsare”, cioè di “gonfiarsi” e “sgonfiarsi” periodicamente, cambiando nel contempo la propria luminosità, e si chiamano così perché la prima stella di questo tipo ad essere scoperta è stata Delta Cephei, nella costellazione di Cefeo. Le stelle variabili Cefeidi erano state studiate in precedenza dall’astronoma Henrietta Swan Leavitt, che dimostrò che la luminosità effettiva di queste stelle dipende esclusivamente dal periodo delle pulsazioni. La luminosità effettiva di una stella è la quantità di energia elettromagnetica emessa dalla stella, che è diversa dalla luminosità apparente che invece è la quantità di energia che percepiamo dalla Terra. Questa distinzione è fondamentale, dato che due stelle con la stessa luminosità effettiva ma che si trovano l’una ad una distanza maggiore dell’altra rispetto a noi, avranno luminosità apparente diversa. In particolare, sappiamo che la luminosità apparente di un oggetto è inversamente proporzionale al quadrato della distanza dall’osservatore: se la distanza raddoppia la luminosità apparente diventa un quarto. Quindi, conoscendo la luminosità effettiva di una stella, confrontandola con quella apparente riusciamo a determinare quanto è lontana. La scoperta di Henrietta Leavitt ha permesso di usare le stelle variabili Cefeidi come “candele standard” per misurare il cosmo.
La Cefeide di Hubble ha permesso di calcolare la distanza della “nebulosa di Andromeda” in circa due milioni e mezzo di anni luce, ben al di fuori dei confini della Via Lattea. Grazie all’osservazione di Hubble e al fondamentale contributo di Henrietta Leavitt, l’universo è diventato di colpo molto più grande di quanto avremmo mai immaginato. La nostra galassia è solo una delle innumerevoli galassie che lo popolano: Andromeda non era più una semplice “nebulosa”, ma un’altra galassia come la nostra.