Il Gruppo Astrofili Polesani APS ha acquistato nuova strumentazione scientifica che verrà utilizzata per attività di ricerca e in occasione delle serate aperte al pubblico. Si tratta di due telescopi portatili semiprofessionali: un Dobson GSO 150/1200, e un riflettore Newton SkyWatcher 130/650 su montatura equatoriale CQ40 .L’uso di strumenti sempre più aggiornati è fondamentale per offrire ai visitatori un’esperienza coinvolgente. Per questo ringraziamo tutti coloro che, grazie alle offerte libere durante aperture al pubblico, hanno contribuito e contribuiranno a questo importante investimento.
Un telescopio astronomico svolge due funzioni distinte ma complementari: ingrandisce oggetti piccoli, e accumula luce per rendere visibile oggetti deboli. Esistono due tipi di telescopi: i rifrattori che usano lenti per ingrandire le immagini, e i riflettori che usano uno specchio concavo (sferico o parabolico). I telescopi rifrattori sono stati i primi ad essere sviluppati; Galileo Galilei fu il pioniere dell’uso del telescopio per osservazioni astronomiche. Il telescopio riflettore fu messo a punto successivamente da Isaac Newton per risolvere alcune limitazioni dei telescopi rifrattori. Gli strumenti acquistati dal Gruppo Astrofili sono entrambi di tipo riflettore, come lo sono i grandi telescopi usati oggi negli osservatori astronomici.
Oltre al tipo (riflettore o rifrattore), altri parametri importanti di qualunque telescopio sono la lunghezza focale e l’apertura. La lunghezza focale è la distanza (in millimetri) tra la lente o lo specchio principali e il punto in cui la luce viene messa a fuoco. L’apertura è il diametro (in millimetri) della lente o specchio principali. Un’apertura maggiore consente di raccogliere una maggiore quantità di luce. Una lunghezza focale maggiore consente maggiori ingrandimenti: infatti, il potere di ingrandimento di un telescopio può essere espresso come il rapporto:
lunghezza focale del telescopio / lunghezza focale dell’oculare
(l’oculare è una componente ottica che si inserisce in prossimità del punto di fuoco del telescopio, ed è responsabile per proiettare l’immagine nell’occhio dell’osservatore; la lunghezza focale di un oculare è incisa sullo stesso). Ad esempio, un telescopio con lunghezza focale 1200mm dotato di un oculare da 25mm ingrandisce gli oggetti di 1200/25 = 48 volte.
L’apertura determina la risoluzione del telescopio, cioè la dimensione angolare del più piccolo dettaglio che è possibile distinguere. Il massimo ingrandimento utilizzabile di un telescopio è pari all’apertura. Ad esempio, un telescopio con apertura di 150mm potrà offrire un ingrandimento massimo di 150x. Ingrandimenti superiori, anche quando tecnicamente possibili, non porteranno alcun vantaggio perché le immagini risulteranno sfocate e confuse, a prescindere dalla corretta messa a fuoco.
Contrariamente a quanto si può pensare, l’aspetto forse più importante di un telescopio per uso amatoriale non è tanto l’ingrandimento, ma l’apertura. Infatti, molti oggetti dello spazio profondo sono relativamente grandi e non necessitano di elevati ingrandimenti: ad esempio, la galassia di Andromeda (M31) ha una dimensione apparente di circa tre volte quella della Luna piena. Oggetti del genere sono però estremamente deboli, ed è quindi indispensabile raccogliere più luce possibile, cosa che si può ottenere con una apertura elevata.
Il Dobson è stato messo alla prova in occasione dell’apertura al pubblico di venerdì 10 febbraio. I visitatori hanno potuto osservare la cometa C/2022 E3 ZTF (la “cometa dei Neanderthal”) sia con il telescopio principale dell’osservatorio, sia con il Dobson 150/1200. Sebbene molto più piccolo dello strumento principale, il Dobson si è dimostrato di qualità ottima, cosa confermata anche dalle successive osservazioni di altri oggetti interessanti del cielo invernale (l’ammasso aperto M41, i dintorni della stella Lambda Orionis, Alcor e Mizar, la grande nebulosa di Orione, le Pleiadi).
È importante ricordare che le immagini che si osservano visivamente al telescopio sono molto diverse da quelle prodotte fotograficamente, magari usando telescopi spaziali o strumentazione professionale. Infatti, le macchine fotografiche sono in grado di accumulare i fotoni (le “particelle di luce”); immagini diverse possono poi essere combinate al computer per aumentare ulteriormente la luminosità ed esaltare i colori. L’occhio umano non è in grado di accumulare luce: di conseguenza, ad eccezione di Luna e pianeti, le immagini risultano in bianco e nero, perché l’occhio non raccoglie abbastanza luce per sollecitare le componenti della retina responsabili per elaborare i colori (i coni). Nelle immagini precedenti mostriamo la versione elaborata al computer (in alto) e una simulazione di ciò che si può osservare visivamente al telescopio (in basso).
Ricordiamo che l’osservatorio astronomico “Vanni Bazzan” si trova a S. Apollinare (RO) in via Sinesio Cappello 12, ed è aperto al pubblico di norma tutti i venerdì a partire dalle ore 21:00. Non serve prenotazione e l’ingresso è gratuito ad offerta libera.